La gloriosa terra osca (l’attuale Sannio e Irpinia, ma anche il Molise, parte della Lucania e dell’Abruzzo) non offre solo colline verdeggianti e aria buona, ma anche (tante) storie da raccontare. Le antologie Oschi Loschi raccolgono il meglio della narrativa “osca” contemporanea, senza condizionamenti di genere o stile, il tutto condito da una predisposizione al “losco” nel senso più ampio e allettante del termine.

venerdì 28 ottobre 2011

L'ispirazione è una sfoglia di cipolla (finale)

Avevano tentato di sparire, di far perdere le loro tracce, di dileguarsi nel nulla, pur di non rispondere alle nostre domande. Ma siamo riusciti a scovarli lo stesso, in uno dei peggiori bar di Caracas, naturalmente. Dopo una serie di interessanti considerazioni ("gli ultimi saranno i primi", "viva l'Italia!", "barista, un altro giro di rum") e nonostante l'elevato tasso alcolico, siamo riusciti (seppur a fatica) a ottenere la fatidica confessione: come è nato il racconto pubblicato nell'imminente seconda edizione di Oschi Loschi? Qual é la sua avventurosa genesi?

Emilio Fabozzi: «Era stata una giornata faticosa. Non avevo più il fisico, mi dicevo mentre abbattuto sul divano come una quaglia ferita, mi gustavo un articolo di Sebastiano Messina su un improbabile traffico di prostitute che il premier Silvio Berlusconi, si diceva, aveva organizzato a palazzo Grazioli. “Certo che questi comunisti, pur di buttarlo giù, ne inventano di cazzate…”. Stavo appunto riflettendo su quella storia quando mia nonna chiusa in cucina in scrupoloso ritiro, mentre preparava una frittata di pasta, continuava a lamentarsi sonoramente perché non riusciva a vedere la puntata del tenente Colombo. Ci avevano appena costretti a passare al digitale terrestre e spesso il segnale non arrivava. Di certo non arrivava nella mia cucina all’ora del tenente Colombo. Nonna ce l’aveva a morte con Silvio Berlusconi. Era comunista come Messina. O perlomeno lo era all’ora del tenente Colombo quando la tv non si vedeva. Note di tango argentino provenivano dall’appartamento a fianco. Margherita, argentina sessantenne mia vicina, aveva ripreso a ballare col marito, almeno credo. Di certo aveva ripreso a ballare. In quel mix di note di tango, di lamentele, di escort, di tenente Colombo e agitazione è nata l’idea di un racconto. L’ho scritto quella stessa notte. Solo della frittata di pasta non c’è traccia. D’altra parte neanche nella realtà era vissuta a lungo.»

Massimo Varchione: «Seguo l'istinto e allego una foto. La genesi scritta mi annoiava.»




mercoledì 26 ottobre 2011

domenica 23 ottobre 2011

L'ispirazione è una sfoglia di cipolla (secondo tempo)


Altro giro, altra corsa; altro gruppo di autori che rispondono alla fatidica domanda: come nasce il racconto per Oschi Loschi? Quali fantasmagorici retroscena ci sono dietro a quel pugno di pagine in grado di avvincere così tanto il lettore medio italiano? Quali ripercussioni avrà tutto questo sul panorama socio-finanziario nazionale ed internazionale? Cediamo loro la parola:

Filippo Ciasullo: «Il mio racconto è un omaggio alle piccole cose. L'ispirazione nasce dal fatto che la biblioteca di Benevento, all'ora di pranzo chiude, perché chi ci lavora addà magnà. In attesa della riapertura pomeridiana me ne sono andato in villa, dove ho fotografato un albero ed è arrossito, che ci crediate o no.»

Daniele Viola: «Non so, non ne sono sicuro. Avere un'ispirazione, cercare nei propri pensieri, frugare l'anima, quando c'è. Ammorbidire il peso della cose reali attraverso la fantasia. Tutto questo mi annoia. Come lo humour. E sono presuntuoso. Per questo il mio racconto è presuntuoso, perché non inventa nulla, ma solo riporta, tra una suggestione joyciana e un mormorio alla Cassiel in quel di Berlino (sono ancora triste per la morte di Cassiel), una scena vista e rivista, uomini e donne, col velo negli occhi, l'opacità dell'esistenza esteriore. Le vite degli altri, per citare un bellissimo film. Non c'è ispirazione nella realtà, si può solo riportare. Il sogno, la trama, la curiosità, la speranza, l'entusiasmo non sono dei personaggi del mio racconto, nostalgici osservatori di qualcosa di perduto. Il racconto è un estratto di un progetto più ampio, che è riuscito a vedere il termine nella mia mente. Le dita sono fredde per rimettere tutto al foglio bianco di un editor di testo, e tutto accadrà solo un po' più in là. Le seimila battute sono disseminate di citazioni e riferimenti. Se qualcuno dovesse leggerlo con attenzione (bene non necessario) mi piacerebbe una sorta di caccia al tesoro. Spero che un giorno, imparando a leggere, imparerò anche a scrivere. Che Dio non salvi la Regina, ma almeno gli Oschi Loschi.»

Luigi Furno: «In fondo quello che semplicemente volevo fare era un noir. Una storia di ombre. Francio Bacon diceva che pensare noir è mettersi in un sacco di plastica e gettarsi nella fogna quando si è morti. L’autore di una storia è un burattinaio. Nel rinascimento si pensava a Dio nei termini del grande orologiaio o del sommo architetto. E Dio manifesta il suo glorioso potere su tutto decretandone la morte. Una storia di morti è quindi una storia archetipica. Ma non si conoscono le radici di questa archeologia narrativa. In fondo non abbiamo mai visto i granchi che escono dal mare attraverso i gabinetti e si arrampicano sulle tavole delle gelaterie, non abbiamo mai visto i diamanti incastonati nei denti delle nonne negre che vendono teste di indios sedute sulle loro natiche incolumi sotto la zuppa della pioggia, non abbiamo mai visto le vacche d'oro addormentate sulla spiaggia né tanto meno gli indù verdi che cagano in piena strada davanti ai loro negozi di camicie di veri bachi da seta. Della stranezza appena conosciamo la bava schiumosa del vomito di un quindicenne collassato alla terza birra. Non so, quindi, se è una storia veramente noir in quanto non si parla di morte ma solo di morte apparente.»

Umberto Di Lorenzo: «Tornando da Padova in compagnia delle Ferrovie dello Stato, in uno scompartimento occupato da Salvatore che di secondo lavoro sostiene di fare il camorrista e da un'anziana signora che gli parla dei suoi ottimi rapporti con Carmen Russo, no con la madre di Carmen Russo, no con la sorella della madre quindi la zia di Carmen Russo, vada, vada in palestra da Carmen Russo e glielo dica, che le fa lo sconto (ci andrò pure io, così farà lo sconto anche a me). Cercando nella musica e nelle parole l'isolamento necessario. A sopravvivere.»

Flavio Ignelzi: «È facile dirlo col senno di poi. A cose fatte. Contemplando il lavoro ultimato. È un raccontino piccolo-piccolo, che possiede un evidente tono hard-boiled, e che ho tirato giù in tempi brevi, in una mezza giornata (e con minimi ritocchi successivi), perché nella mia mente era già tutto pensato e organizzato, probabilmente ruminato per un po’. Non so spiegarvelo. La mia mente rumina senza farsene accorgere. Non vi romperò le palle con livelli di lettura secondari e complicate metafore. Non ve ne sono. Non volontariamente, quantomeno. Volevo solo un protagonista strafottente, rock celtico, briglie sciolte e un bel twist. Questo col senno di prima. Ché son bravi tutti, con quello di poi.»

Ernesto Razzano: «Con Nicola che tifa per l’Inter sono stato a vedere Totò Peppino e la malafemmina, al cinema, schermo grande, non so se mi spiego, Totò al cinema per me è quasi il massimo. All’uscita del cinema veniamo a sapere che Bolì ha segnato e il Marsiglia ha battuto il Milan in finale di Coppa Campioni. Nicola sorride. Arriviamo a casa. Giuliano ha il gesso alla gamba e una cinquecento decappottabile giù al portone. C’è anche Federica con Giuliano. Giovanni è con la testa sotto il lavandino ad aggiustare il tubo. Le finestre sono aperte, è fine maggio. Firenze è quasi pronta per dormire e darsi ai turisti il giorno dopo. Un rumore più secco di un tuono e più profondo di un terremoto ci prende d’improvviso nelle stanze della casa di Via Vico. Dalla finestra vediamo la città al buio, in un silenzio placido. Due minuti dopo eravamo nella cinquecento, guidava Giovanni, la stampella di Giuliano usciva dal tetto, tra le nostre teste, ancora due minuti e senza nessuna barriera ci trovammo a Via dei Neri dietro Palazzo Vecchio, c’erano vetri rotti dove lasciammo la macchina e ombre di fiamme nel vicolo accanto alla Loggia dei Lanzi. Giovanni si lanciò verso Via De’ Georgofili, io lo seguii, non c’era nessuna barriera, arrivammo quasi prima dei soccorsi. Vetri che pensolavano e fumo e fiamme che si affacciavano dalle finestre. Nei volti di tanta gente c’era la ricerca della causa di una notte inspiegabile. Una fuga di gas, forse. Invece no, una bomba e dei morti. I potenti e i criminali costruiscono gli stati ancora così, con le bombe e con i morti. E la gente, come in una roulette russa, può rimanerci morta. Le storie del racconto, per le facce che vidi, sono verosimili, e forse alcune fecero proprio quelle cose, quel giorno.»

sabato 22 ottobre 2011

giovedì 20 ottobre 2011

martedì 18 ottobre 2011

Liscio e busso (la musica consigliata): Filippo Ciasullo

Per "Ma quale falce ma quale martello, paletta secchiello il simbolo più bello" l'autore consiglia:

_Zucchero::“Blu”

domenica 16 ottobre 2011

Raccolte indifferenziate italiane


La domanda è cruciale: in quale pasticcio si è andato a cacciare Oschi Loschi? Ovvero, quanto è vasto il panorama delle antologie di racconti in Italia? Sembrerebbe molto, moltissimo, pure troppo, a giudicare da quello che espone il mercato. La raccolta di racconti (di autori vari, of course, è quello di cui tratteremo) è uno strumento utilizzato da sempre come vetrina per i “giovani scrittori”, allo scopo di scoprire e far scoprire nomi nuovi talentuosi e in grado di produrre narrativa di qualità, ma ancora sconosciuti al grande pubblico. Restringendo il campo al Belpaese (non è nostra intenzione scrivere un saggio accademico, quindi il lavoro di riviste come New Yorker o il Best American Mystery Stories, per citare a caso, ve li andate a scoprire da soli), proviamo a tracciare un excursus attraverso un gruppo di titoli che varrebbe la pena leggere, per gustarsi l’arte della narrativa breve tricolore in tutto il suo folgorante dinamismo. Sono ben accetti consigli, aggiunte e correzioni (e magari pure una cosa di soldi).
L’antenato moderno (che bell’ossimoro) è indiscutibilmente Under 25 del compianto Pier Vittorio Tondelli (rip), che in collaborazione con Massimo Canalini e Transeuropa, pubblica tra il 1986 e il 1990 tre volumi di esordienti con una fascia d’età ben precisa (indovinate quale?). Perché a quel tempo, è bene ricordarlo, si era gggiovani e prestanti fino ai 25 anni.
Il salto temporale è importante e conduce dritti alla celeberrima Gioventù cannibale (Einaudi Stile Libero, 1996), curata da Daniele Brolli, vero punto d’inizio di tutto: l’antologia che getta lo scompiglio nel mondo della letteratura colta (sul fatto), che abusa (impropriamente) del termine “pulp”, che non fa sconti a nessuno e che permette ad Ammaniti e Nove di farsi un nome. Perché Pinketts ce l’aveva già (nel suo piccolo), Luttazzi ereditava quello di Lelio (il solito copione) e gli altri non ce l’avranno mai (se li ricorderanno solo parenti e addetti ai lavori).

Questo è il momento in cui iniziano a fiorire iniziative simili. La sfortunata Addictions Editoriale (della quale si sono perse le tracce, purtroppo) ne sforna parecchie, di raccolte. Meritano di essere segnalate Spettri metropolitani (Addictions-I Neri, 1999), curata da Andrea G. Colombo, che sonda con assoluta eccellenza il mondo dell’horror (notevoli i contributi di Arden, Massaron, Fiocco e Simi); e poi Città violenta (Addictions-I Neri, 2000), curata da Andrea C. Cappi, che invece esplora con cura e spietatezza le trame conturbanti del noir metropolitano.
Una raccolta con uno spirito simile a quello di Oschi Loschi era, invece, Sconfinare. Il nord-est che non c'è (Fernandel, 1999), curata da Chiara Pavan, in cui undici scrittori dell’ultima generazione (dell’epoca, ora sono allegri nonnetti) si confrontavano sul concetto di appartenenza al proprio territorio (Giulio Mozzi e Tiziano Scarpa, tra i partecipanti).
In tempi più recenti un contribuito notevole lo ha apportato Minimum Fax, casa editrice romana mai lodata abbastanza, che concretizza La qualità dell’aria (Minimum Fax, 2004), by Nicola Lagioia e Christian Raimo, nella quale già si discute di “under 40” (a dimostrazione che le età della giovinezza sono irrimediabilmente cambiate), con venti scrittori che raccontano “il proprio tempo sulla propria pelle” attraverso una manciata di racconti impietosi e corrosivi (tra i nomi, Valeria Parrella e Mauro Covacich). Sugli stessi livelli qualitativi si posiziona pure Voi siete qui (Minimum Fax, 2007), curata da Mario Desiati, con altri sedici scoppiettanti esordi.
Suicidi falliti per motivi ridicoli (Coniglio Editore, 2006), curata da Gianluca Morozzi e Gianmichele Lisai, ha invece come tema portante il suicidio (anzi, il tentato suicidio) per una collezione di gioiellini da non perdere, grotteschi e moderni (come il volume lascia intendere fin dall’impaginazione).
Anime nere (Mondadori, 2007), curata dall'esperto Alan D. Altieri, è un’antologia thriller/noir dal sapore più mainstream, ed è una di quelle più valide tra le tante simili (nomi come Evangelisti, Nerozzi, Dazieri, Arona, Macchiavelli hanno garantito il risultato). E riscuote anche un buon successo di pubblico, tanto da poter vantare (si fa per dire) un sequel (Anime nere reloaded).
Con Tempo scaduto (Eumeswil Edizioni, 2007), curata dalla “nostra” Stella Iasiello, e con Viva Las Vegas (Las Vegas Edizioni, 2008), curata da Andrea Malabaila, si ritorna in ambito underground (quanto è bella questa parolina?) per due raccolte che narrano storie di oggi bizzarre, coraggiose e cadenzate, per nostra fortuna prive di schemi e infrastrutture troppo ortodosse.
Per la rubrica “un occhio alla penna e uno al territorio”, segnaliamo altresì le due raccolte 9 racconti più 2 (Il Bene Comune, 2009) e la gemella 18 racconti più 2. Narratori di oggi (Il Bene Comune, 2010), entrambe curate da Gianni Spallone, che indagano Campobasso “on writing” (la prima) con l'aggiunta delle vicine Isernia, Benevento e Caserta (la seconda), potendo contare pure su di un paio di loschi nomi, a tutti noi ben noti.
Chiudiamo con qualcosa di più commerciale (sappiamo tutti che anche l’intrattenimento può essere di qualità, se realizzato in un certo modo). Seven. 21 storie di peccato e paura (Piemme, 2010), curata da Gian Franco Orsi, è ispirata evidentemente ai sette vizi capitali (tre shot per vizio), e annovera le ottime prove di Elisabetta Bucciarelli, Diana Lama, Ugo Barbàra e Leonardo Gori.

Wow, che corsa! Per fortuna abbiamo deliberatamente evitato di parlare delle raccolte di racconti collegate a concorsi letterari e premi di vario tipo: ce ne sono a decine, ma che dico decine, migliaia. Anzi, quasi milioni. E sono quasi tutte dedicate alla narrativa strettamente di genere (fantascienza, horror, noir, eros...). La maggior parte di esse si rivela trascurabile se non addirittura risibile, anche se qualche eccezione c’è sempre (ci viene in mente Lama e Trama, non a caso pubblicato da Perdisa Pop, oppure i premi Lovecraft e Alien). Ma questo è un altro mondo, ancor più oscuro e ostile, che per ora non ci va di esplorare. L’unica cosa che ci va, adesso, è una pinta di quella buona.

mercoledì 12 ottobre 2011

lunedì 10 ottobre 2011

Liscio e busso (la musica consigliata): Federica D'Avanzo

Per "Da consumarsi preferibilmente entro l'attimo appena trascorso" l'autrice consiglia:

_Eva Mon Amour::“Per Un Po’ Di Niente”


domenica 9 ottobre 2011

Liscio e busso (la musica consigliata): Luigi Furno

Per "Si è ammazzato uno" (racconto suonato sul giradischi del silenzio), l'autore consiglia: _Scott Walker::“Farmer In The City”/_The Books::“Take Time”.

 
 
 

giovedì 6 ottobre 2011

L'ispirazione è una sfoglia di cipolla.

Come nasce una storia? Anzi, come è nata la storia (nel senso di racconto) di Oschi Loschi? Lo abbiamo chiesto all'improvviso, e pure a tradimento, ad alcuni degli autori della seconda (attesissima) edizione dell'antologia sannita. I quali, prontamente e senza batter ciglio, hanno risposto in coro: "oschi cooosa?".

Donato Zoppo: «Sul treno per Bologna, nei dintorni di Castiglion Fiorentino, alle 14.30 del 12 febbraio 2011, con Iron & Wine nelle cuffie in attesa del loro concerto serale (unica data italiana), lo spettro di Dylan Zarrella si impadronisce di me. Quaderno da viaggio e penna alla mano, un quarto d’ora prima della fermata bolognese il racconto è finito.»

Stella Iasiello«Il racconto è stato ispirato da un caro amico scrittore piemontese: ogni riferimento a baci e assassinii, però, è puramente casuale, nessuno scrittore è stato importunato o ucciso durante la stesura di questo racconto.»

Alessandro Paolo Lombardo: «È tutto vero in questa storia. L’unico elemento inventato è lo specchio, che come tutti sappiamo non esiste. Non ero nemmeno sicuro sul nome da dare a questo oggetto fantastico, se specchio oppure riflettron.»

Isabella Pedicini: «In principio era il verbo. E, infatti, “Ore 15” nasce da uno spunto raccolto in una conversazione con una signora incontrata per caso in libreria. Ruminato lungamente, diventa un file word appositamente per questa antologia.»

Maria Elena Napodano: «Non sono io che vado a cercarmi le storie, sono loro che vengono da me. Come in questo caso, in cui non ho dovuto fare altro che addormentarmi (col prezioso contributo dello Spasmomen) e lasciare libero sfogo allo psicopatico che è in me. E che sogna di fare cose come queste.»

Federica D'Avanzo: «Dopo una digressione notturna da pendolare per scelta altrui, un losco poeta cupo e mesto mi propose di scrivere qualcosa in cambio di una vittoria a tressette. Scrissi un racconto ma persi comunque alle carte. Stranamente il racconto trasudava delusione e rabbia. Mai fidarsi dei loschi poeti, riescono a farti sentire migliore.»

Marcello Serino: «Il racconto nasce dall’esigenza di riabilitare la figura, spesso bistrattata, dei portieri di calcio. Sono loro che proteggono le nostre porte, le nostre speranze, sono loro che silenziosi incendiano i nostri sogni.»

Anna Lisa De Mercurio: «Try to shot from the hip (“Golden Rules of Lomography”).»

Giuseppe Di Gioia: «In periodi in cui gli eventi erano particolarmente avversi, gli antichi popoli Oschi istituivano un Ver Sacrum, manifestazione divinatoria in cui i primogeniti nati in primavera venivano resi sacri al dio Mamerte e costretti ad allontanarsi dalla propria gente e, guidati da un animale totem, a cercare altre terre da colonizzare. Oggi i loro discendenti rinnovano quel rituale. Alla ricerca di lavoro.»

Annamaria Porrino: «Virginia Woolf. Un punto fisso in un mare di punti roteanti, ispiratori della mia scrittura. Quando l’ho recensita, la sua stanza l’ho definita un utero, un bozzolo da cui uscire solo a formazione completata. Così ho pensato: se entro nella sua stanza mi concedo al suo grembo e da lì posso essere con lei quando scrive, dorme, silenzia, ma anche quando si avvia al fiume per annegarsi e salvarla. Non lei, ma la sua scrittura. Non chiedetemi come, ma avverto l’acqua. Le sue parole, ora, nelle mie. Vive, come lei.»

Paola Corona: «Le parole danzano sul foglio. C’è qualcuno che mi racconta storie, come con una bambina piccola prima di addormentarsi, che guida la mia penna, respira con la mia anima, si diverte a sbrindellare e a rattopparla con pezzi di realtà. Non mi addormento, come la bambina al racconto della buona notte. Io ascolto. Ascolto qualcuno che racconta storie

Giovanni Vergineo: «Questo racconto nasce da un viaggio in treno e da una poesia. Un giorno di pieno luglio stavo tornando dallo scavo archeologico di Fratte di Salerno. Era il primo scavo archeologico cui prendevo parte, ed era scomodissimo per me raggiungere quel posto: sveglia all'alba, ore di treno da Benevento, la mia città. L'ultimo giorno di scavo ero a pezzi e il ritorno fu terribile: causa interruzione della tratta ferroviaria, dovetti prendere un altro treno e cambiare un paio di volte. Tutto questo per percorrere meno di 70 km. Insomma, parto da Fratte alle 5, prendo un treno fino a Mercato S. Severino. Poi, pullman fino ad Avellino. Attesa di un' ora, poi treno fino a Benevento.
Lo scavo archeologico è un lavoro fisico: si deve materialmente lavorare la terra, scavare, spicconare, spalare, scarriolare. Inoltre, io dovevo sorbirmi un viaggio di ore tra andata e ritorno. La fatica forse mi aveva messo in una situazione recettiva, non so: ero sicuramente in una particolare disposizione dell'animo. Ero con la mia ragazza di allora: avevamo appena finito di litigare con il controllore che voleva farci la multa perché avevamo pagato il biglietto più del dovuto. Inoltre, per la fame avevo aperto con violenza un pacco di Ritz, spargendone una gran quantità in tutto lo scompartimento. Io, la mia ragazza, il controllore, il macchinista e i cracker salati eravamo gli unici abitanti di quel treno ridicolo, composto da una sola carrozza. A un tratto ci fermiamo nella stazione di un paesino: Tufo. Famoso per le miniere di zolfo. Interessante paradosso. Proprio di fronte alla stazione mi si para dinanzi l'ingresso della miniera abbandonata, con in cima il busto dello scopritore, Francesco di Marzo. Ne fui shockato. Ho sempre avuto attrazione per i luoghi abbandonati, per le wastelands e simili, ma non avevo mai visto niente di più bello di quella miniera. Era una catacomba del XX secolo, il simbolo della decadenza di un impero industriale. Anni dopo: spettacolo teatrale. Tema: la morte. Tutti a grattarsi i testicoli per buona parte del tempo. Poi, una ragazza recita questa poesia, che io ho poi posto come epigrafe:

Padre, mai potrai conoscere
l'angoscia che afflisse il mio cuore
per la mia disobbedienza, il momento che sentii
la ruota spietata della locomotiva
affondare nella carne urlante della mia gamba.
Quando mi portavano in casa della vedova Morris
sono riuscito a vedere la scuola nella valle
che marinavo per saltare di nascosto sui treni.
Ho pregato di vivere per almeno chiederti perdono -
e poi le tue lacrime, le tue rotte parole di conforto!
Dalla consolazione di quell'ora
ho guadagnato un'infinita felicità.
Fosti saggio a scrivere per me: sottratto al male futuro.
[Edgar Lee Masters, traduzione di Antonio Porta]
La vista della cava e la poesia si sono fuse nella mia mente creando un nocciolo duro, profondo, un desiderio inespresso di raccontare una storia. Che poi si è materializzata nel racconto, fusione fra la cava di zolfo di Tufo, Edgar L. Masters, l'archeologia, le ferrovie dello stato, i controllori bastardi, il teatro, i Ritz sparsi per il treno. E gli amori perduti dell'adolescenza.»

Ok, per adesso è tutto. E sì, Vergineo è logorroico.

martedì 4 ottobre 2011

Indovina indovinello

Venti tituli (come direbbe l'ex allenatore dell'Inter, Mourinho), quelli dei venti racconti della seconda edizione di Oschi Loschi. Nudi e crudi, fritti e mangiati, senza l'autore corrispondente, naturalmente, così ci si può divertire a fare le accoppiate. Ce la fate ad indovinarle tutte senza indizi? O avete bisogno di leggere le carte?

"Camera oscura"
"Greta strizza gli occhi"
"Virginia e la sua stanza"
"Binario morto"
"Il circolo delle quinte"
"Ore 15"
"Un amore che brucia"
"Trionfo di Specchia"
"2958 km (estate 2004)"
"Parce sepulto"
"Quello che rimase del cielo"
"Nero Latte"
"Ma quale falce ma quale martello, paletta secchiello il simbolo più bello"
"Tracce di impronte granitiche"
"Ver Sacrum"
"Maggio fiorentino"
"Si è ammazzato uno"
"Da consumarsi preferibilmente entro l'attimo appena trascorso"
"Due bottoni"
"L'ultima milonga"


lunedì 3 ottobre 2011

Mai fare progetti, soprattutto per il futuro.

Il tempo vola e le cose cambiano (mentre le mezze stagioni spariscono inesorabilmente).
Dopo il successo planetario del primo volume, Oschi Loschi è pronto ad alzare il sipario sulla seconda, attesissima, edizione. Una nuova antologia di racconti che celebra la scrittura sannita di oggi, spumeggiante come non mai. Di seguito il cast di questo nuovo capitolo (in rigoroso ordine alfabetico):


Filippo Ciasullo, Paola Corona, Federica D'Avanzo, Anna Lisa De Mercurio, Giuseppe Di Gioia, Umberto Di Lorenzo, Emilio Fabozzi, Luigi Furno, Stella Iasiello, Flavio Ignelzi, Alessandro Paolo Lombardo, Maria Elena Napodano, Isabella Pedicini, Annamaria Porrino, Ernesto Razzano, Marcello Serino, Massimo Varchione, Giovanni Vergineo, Daniele Viola, Donato Zoppo.


Tanti nomi nuovi e qualche riconferma, insomma, per un progetto curato ancora dall'ostinato (e recidivo) Flavio Ignelzi.
Nuova, anzi nuovissima, anche la casa editrice, la sannita Never Mind
E nuovo pure il progetto grafico, affidato alle sempre ispirate mani di Aurora Lobina (www.aurorise.com).

Tra qualche giorno ulteriori particolari e qualche piccola sorpresa. Stay tuned.