La gloriosa terra osca (l’attuale Sannio e Irpinia, ma anche il Molise, parte della Lucania e dell’Abruzzo) non offre solo colline verdeggianti e aria buona, ma anche (tante) storie da raccontare. Le antologie Oschi Loschi raccolgono il meglio della narrativa “osca” contemporanea, senza condizionamenti di genere o stile, il tutto condito da una predisposizione al “losco” nel senso più ampio e allettante del termine.

venerdì 25 maggio 2012

Intervento della dott.ssa Angela Maria Pelosi su Oschi Loschi


Riportiamo l’approfondita analisi di Oschi Loschi realizzata dalla dottoressa Angela Maria Pelosi, dirigente scolastica dell'IC Mazzarella di Cerreto Sannita, in occasione della presentazione presso la Biblioteca del Sannio (lo scorso 28 aprile). Un grande ringraziamento alla dottoressa, la cui arte oratoria ha coinvolto e appassionato gli autori presenti e gli intervenuti all’incontro, resa solo in parte dal testo scritto.


Questa sera parleremo di un libro di racconti, edito dalla  Never Mind di Maria Elena Napodano dal titolo: “Oschi Loschi. Racconti solidi come castelli di carte”.

Come vedete c’è già molto da dire sul nome degli autori e sul titolo. Allora diciamo subito che gli autori hanno scelto di chiamarsi come le antiche genti che abitavano il  territorio del Sannio, dell’Irpinia, del Molise e parte della Lucania e dell’Abruzzo, gli oschi appunto. Hanno accompagnato il sostantivo con un aggettivo particolare, forse, come loro affermano, per esigenze di rima oppure per alludere al loro modo simpatico di dichiarare la propria vocazione al clandestino, al sotterraneo, al torbido, all’underground, ovviamente in senso letterario.
È una raccolta di 20 racconti brevi, scritti da 20 autori diversi, giovani, tutti del territorio sannita, e che pertanto offrono uno spaccato di esistenza giovanile della nostra terra e anche, in particolare della nostra città capoluogo, Benevento. I temi dei racconti sono differenti, come anche i loro stili appunto perché l’opera nasce come una tela tessuta in modo assolutamente libero da ciascuno e da tutti.
L’unico file rouge che in qualche modo percorre le storie sono i semi delle carte da gioco napoletane che  le ordinano e le raggruppano. Coppe: l’ebbro destino e le sue ombre inquiete; Spade: colpi al cuore per placare la sete di vendetta; Denari: valori che non si custodiscono in cassaforte; Bastoni: castighi divini per chi non se li cerca.

Si parte dai racconti delle coppe ricolme di destino e di atmosfere metropolitane, in cui si muovono figure solitarie collocate fra il reale e il metafisico, come il personaggio di Dio, nel racconto di Flavio Ignelzi, per passare attraverso un tango milonga ad affrontare l’ebbrezza dello sconcerto di Filippo, nel racconto di Emilio Fabozzi, il quale crede nel colpo di fulmine e strafatto di Jack Daniels, va in giro  con una magliettina bianca a mezze maniche con su dipinta la faccia  stilizzata di Woody Allen e una scritta sul petto che recita “credi nel colpo di fulmine o devo passare di nuovo?”. Poi è la volta del trionfo di Specchia di Alessandro Paolo Lombardo. Qui il gioco speculare si fa intrigante. Specchia è il riflesso di Antea o Antea il riflesso di Specchia? A volte la realtà speculare è utile per esaltarci, sebbene possa sfuggirci di mano e diventare una rivale perfida. Tuttavia utile, se può sostituirci nel dolore. Isabella Pedicini ci riporta in città, in un pomeriggio qualunque, alle ore 15, quando il ritrovamento di un oggetto, avvenuto per caso, mette in moto avvenimenti  inquietanti e stimola presenze inconsuete. In un tempo che scorre troppo velocemente. La sezione Coppe si chiude con il racconto di Daniele Viola, “Due bottoni”, un bozzetto malinconico intriso di pensieri, odore di terra, freddo e solitudini.

Anna Lisa De Mercurio con “Camera Oscura”, apre la sezione Spade. È una storia costruita per scatti, per fotografie, immagini che si fanno via via sempre più taglienti. E la storia prende un corso imprevedibile. L’ultimo scatto è il più amaro. “Greta strizza gli occhi” è il racconto di Maria Elena Napodano, che trascina il lettore in una atmosfera al limite tra il sogno e l’assurdo, inchiodandolo alla lettura, sotto la minaccia delle punizioni di Greta, una bimba killer che potrebbe strizzare gli occhi da un momento all’altro. “Nero Latte” di Stella Iasiello ci riporta nella città stregata di Benevento, dove aleggia la magia, e dove un oscuro destino può anche assumere il significato di una magica felina vendetta. Le spade continuano a ferire la sensibilità del lettore con il racconto di Giovanni Vergineo “Binario morto”, nel quale si mescolano ricordi adolescenziali, rimorsi, paure. La storia che per certi versi richiama suggestioni verghiane, sembra possedere la forza catartica di una confessione. L’amore, l’amicizia, la vita stessa non sono altro che un binario morto. Marcello Serino, in “Un amore che brucia” giocando sul doppio senso dell’amore come sentimento che brucia l’anima, ci racconta del portiere di calcio Gigio Cerqueti, protagonista del racconto, che invece ha il desiderio profondo di bruciare il suo amore nel senso letterale del termine. Infatti, egli non cessa mai, giorno dopo giorno, di pensare al momento in cui darà alle fiamme la sua fidanzata, per il solo desiderio di sentire il dolce profumo dell’amore che brucia. L’epilogo del racconto è davvero di fuoco!

La sezione Denari è introdotta da Umberto Di Lorenzo con il racconto “Quello che rimase del cielo”, una delicata e toccante storia di una famigliola messa di fronte ad una prova esistenziale troppo grande e dolorosa. Il cielo a volte si nega nella sua immensità e regala agli uomini solo una piccola parte di sé.
La sezione procede con “Da consumarsi preferibilmente entro l’attimo appena trascorso” di Federica D’Avanzo, un breve racconto molto denso, a struttura circolare. Al centro la protagonista  concentrata su una nostalgia. Tutt’intorno spazi chiusi e un gran desiderio di  ritrovare la forza di guardare dritto davanti a sé.
Annamaria Porrino ci trasporta nel mondo di Virginia Woolf. Attraverso una narrazione onirica, l’autrice fa rivivere la scrittrice britannica e ne tratteggia gli aspetti salienti della sua personalità, fino al giorno fatale del suo suicidio nelle acque del fiume Ouse. Il titolo del racconto allude all’opera saggistica della Woolf, “Una stanza tutta per sé”.
“Tracce di impronte granitiche” è il racconto di Paola Corona in cui sogno e realtà si confondono. E sul limitare delle due dimensioni c’è la musica che fa da demiurgo e prepara per la protagonista Noemi, una nuova realtà, che ha come preludio la luce di due occhi neri.
Il racconto dal titolo “Ma quale falce ma quale martello, paletta secchiello il simbolo più bello” di Filippo Ciasullo chiude la sezione denari. L’impianto del racconto è scenico. La storia evolve su un dialogo molto fitto tra un papà e la figlioletta. Il luogo della storia è la villa comunale di Benevento. Tutto sembra pulito, innocente. Ma improvvisamente emerge il losco dove meno il lettore se lo aspetta. Come risolvere? Basta raccontare… magari cominciando dal principio, da Giove, per esempio!

Apre la sezione Bastoni “Il circolo delle Quinte” di Donato Zoppo, nel quale il protagonista Dylan Zarrella trascina il lettore in un  lunghissimo vortice disperatamente simpatico di bastonate musicali e giornalistiche tra sorrisi e riflessioni amare.
In “Ver sacrum” di Giuseppe Di Gioia, l’autore prende spunto dal ver sacrum, una manifestazione divinatoria delle antiche popolazioni italiche, che costringeva alcuni giovani prescelti alla migrazione forzata, per affrontare il triste tema della mancanza di lavoro nella nostra terra. Marco le prova tutte, poi partirà come una vittima sacrificale, senza voltarsi indietro.
Luigi Furno è l’autore di “Si è ammazzato uno” un racconto un po’ visionario e un po’ inquietante sul senso dell’esistenza. A tratti emergono segmenti di lucidità che guidano e fanno avanzare la trama,  ma sono solo parentesi, in mezzo a un mare di immagini e pensieri  che sembra uno scroscio impetuoso di un flusso di coscienza inarrestabile. E alla fine il lettore non potrà fare a meno di chiedersi: ma vivere non è forse pericoloso?
Con “2958 km (estate 2004)” di Massimo Varchione, ci troviamo di fronte ad un racconto on the road, in viaggio attraverso le città del sud  su un camion per un tour tra spettacoli e palchi da montare e smontare, in compagnia di una umanità di passaggio, conosciuta e subito lasciata, nella quale cercare il senso delle proprie radici, mai sentite così violentemente necessarie, quanto più ci si allontana da esse.
Chiude la sezione bastoni e la raccolta il racconto “Maggio fiorentino” di Ernesto Razzano, che ci riporta a Firenze nella primavera del 1993, presso l’accademia dei Georgofili, dove nella notte fra il 26 e 27 maggio l’intero nostro Paese prese una delle bastonate più dolorose della nostra storia.  Razzano, con delle pennellate precise ci racconta lo scorrere naturale della vita intorno a quello che sarà l’epicentro del dolore. Un modo molto riuscito per far riflettere il lettore. Un grido perché la giustizia non lasci impunito chi ha sfregiato Firenze e tutti noi per sempre.

Ho letto questo libro tutto d’un fiato, affascinata dal ritmo della narrazione, dalla diversità dei personaggi e delle situazioni descritte, dagli stili essenziali e lineari. Anche la lingua è efficace, contemporanea, ricercata quanto basta. Già il titolo risulta immediatamente accattivante e intrigante poiché evoca immediatamente un ossimoro: racconti solidi come castelli di carte. I castelli di carte non sono affatto solidi, vivono in bilico perennemente, pronti a crollare al primo soffio o alla prima instabilità. I racconti, invece, ben 20, che compongono l’opera sono, al contrario, solidissimi. Per di più, aggiungerei, ritenendo di essere nel giusto, che essi presentano una compiutezza e una maturità rispondenti a uno dei canoni letterari  notoriamente più accreditati dalla critica:e cioè che la narrativa deve avere come suo vero fine la scoperta e la registrazione del mondo dell’uomo. Il libro degli Oschi loschi, ripropone il mondo attraverso il gioco misterioso dell’immaginazione, e questo mondo ci accoglie con un meccanismo complesso di specularità e di rimandi spaziali e temporali.
Il  libro nasce nella terra osca, vissuta dagli autori come una condizione psicologica e sociale, prima che geografica, con le sue contraddizioni, le sue durezze, con la sua umanità variegata, nella quale gli autori affondano la loro indagine alla ricerca della verità delle passioni totali, di una condizione autentica di vita.
È una terra che si narra, ma che nello stesso tempo è attraversata da schegge di universalità.  Le storie osche, pensate da autori oschi, alla fine superano i confini della terra osca e si ritrovano a parlare dell’universo mondo all’universo mondo. E ciò accade magicamente grazie esattamente alla narrazione, perché solo la narrazione ha il potere di attraversare un mondo e di connetterlo all’universalità del sentire umano. Venti giovani oschi, una pluralità di voci, decidono di partire da un punto fermo, per narrare. Dalla propria terra. Da se stessi, dalla propria realtà, dai propri sogni, poi scoprono, noi scopriamo, che in realtà essi con la molteplicità delle loro storie stanno parlando  non solo dalla propria terra, ma alla propria terra, restituendole un altrove universale, fatto di sentimenti, paure, ironie, dolori, assoluti ed eterni. Ecco la magia, la potenza del racconto. Le storie, nella loro varietà, frantumano la fissità dell’unità del tempo e del luogo, e costruiscono incredibili vie di connessione  tra il particolare e l’universale.
Credo che il senso vitale di questo libro sia proprio questo.
Maggiormente più apprezzabile se si tiene conto che questi giovani autori sanniti pubblicano in un momento di crisi non solo economica, ma soprattutto culturale come quello che stiamo vivendo attualmente in Italia.
Raccontare è stato e sarà sempre un bisogno insostituibile dell’uomo. Fin dall’antichità, egli ha raccontato dapprima oralmente, poi, da Omero in poi,  fissando le sue storie con la scrittura. Raccontare è un po’ come vincere la morte, l’oblio. Non a caso anche nel linguaggio comune quando si supera un pericolo si dice: l’importante è che lo si può raccontare! Il racconto ci rende vincitori, ci rende immortali e ci apre al resto dell’umanità, di oggi e di domani.
Un’opera plurale, quella degli oschi loschi, condotta a più mani sapientemente dentro i meccanismi narratologici, con effetti che stimolano la curiosità, attivano la coscienza, muovono le emozioni.

lunedì 21 maggio 2012

Oschi Loschi ad Avellino

Oschi Loschi giunge ad AVELLINO, venerdì 1 giugno [ore 19:30], ospitato da Oltrefrontiera (via Terminio 28).
All'incontro parteciperanno il giornalista e scrittore Generoso Picone (Il Mattino), il Presidio del Libro di Avellino e l'Associazione Culturale Iride (che curerà le letture).
Partecipate anche voi!


mercoledì 9 maggio 2012

Oschi Loschi al Festival del Libro e dell'Informazione Locale di Benevento


Gentilmente ospitato dallo stand di B Magazine, Oschi Loschi sarà presente al Festival del Libro e dell'Informazione Locale di Benevento (giunto alla III edizione) che si terrà dal 18 al 20 maggio presso il Chiostro di San Francesco alla Dogana.
Organizzata dall'Ente Provinciale per il Turismo di Benevento, in collaborazione con l'Assessorato al Turismo e alla Cultura della Provincia di Benevento, la manifestazione ha l'obiettivo di valorizzare le risorse locali impegnate nel mondo dell’informazione e in quello della produzione di materiali editoriali.
Buon lavoro a tutti.